'E
Recenzioni
Nia
Maro in classifica...azz!!!
grazie,
grazie a tutti quanti
Questa
invece è la classifica generale di Musica&Dischi...
...la
cosa spassosa è che mentre, che so, Carmen Consoli, Meg e Tiro
Mancino sono considerati "indipendenti" (sono prodotti invece
da BMG, Sony e Universal) io sono nella classifica dei "Big"
(prodotto dal "Manifesto"...). Che vol dì? Che nella
classifica delle Indies ci entri con mille copie, in quest' altra so'
cazzi ad entrarci! Non so ragionamenti inutili. Dovete pensare che produrre
Nia Maro m' è costato quanto costa la sola voce "caffè
e arancini" nella produzione dei miei colleghi...è come se
loro c' avessero il fuoristrada che fa 1 km con 5 litri...e io la renault4
rossa ma vado più forte...eh eh. Grazie, grazie a tutti quanti!
Sepe
e la riscoperta dell' internazionalismo
Puoi
chiamarlo internazionalismo, come facevano gli Style Council prima che
il rock lo mettesse al bando. Puoi sognare che sia lo spiritus mundi,
tornato a farsi vivo tra le righe di uno spartito. Ma alla fine è
musica meticcia che mischia le saltarelle della Ciociaria con i suoni
del Mediterraneo, le tammurriate con le ballate di Brassens, i canti popolari
di Otello Profazio con le note cupe di un Fender Rodhes che rincorre la
voce di Orson Welles e della sua Guerra dei mondi. Il sassofonista Daniele
Sepe ha dosato con cura e intelligenza gli ingredienti del suo ultimo
cd, Nia Maro, offrendo una pietanza che ha il sapore delle migliori incisioni
della Liberation Music Orchestra, il gusto di una tradizione reinventata
che rimanda ad Albert Ayler, l' aroma solido della filologia speziato
dall' anarchia stilistica di Frank Zappa. Ascoltandolo vien voglia di
zompettare come faceva la Lollo in Pane, amore e gelosia o di precipitare
in un notturno americano che ha l' acidità degli incubi.
Enzo
d' Errico Corriere della Sera
Veraspina
dorsale ritmica di Napoli, la tammurriata è sempre pronta - accade
spesso al sud - a piegarsi al padrone di turno, cioè l' interprete.
Sono 15 anni che Sepe scava tra jazz, pop e folk (Est, Islam, Nord europa).
Ultima tappa , questa tammurriata sposata al Miles di Bitches Brew: un
incanto...
Angelo
Aquaro - Venerdì di Repubblica
...Se
di viaggio in musica si tratta, qui i viaggiatori sono confusi e felici
di aver
perso la rotta, di avere la bussola fuori uso, ma i sensi più che
mai in
funzione. E naufragar è dolce per l'ascoltatore in compagnia della
ciurma
dell'accolita sepiana: gli aficionados sono rappresentati dall'ugola
cosmopolita di Auli Kokko, Massimo Ferrante, gli Art Ensemble of Soccavo;
le
new entry dal tunisino Marzuk Mejiri, i Terragnora di Matera e un pugno
di
viaggiatori newpoletani sospesi tra jazz e suoni veraci (Antonio Onorato,
Salvatore Tranchini, Aldo Vigorito , Marco Zurzolo e Gino Evangelista).
La
dedica al «compagno Mario Scarpetta», la voce di Orson Welles
che annuncia
alla radio la notizia della (falsa) invasione marziana degli Stati Uniti,
le
belle foto del libretto che mostrano la resistenza di antichi riti popolari
alla globalizzazione incalzante: «Nia maro» è anche
questo, un segnale di
disperata difesa di spazi sottratti alla normalizzazione, sonica e non,
al
leccisismo culturale, alla banalità quotidiana della musica-fast
food. Brano
dopo brano, le scansioni solari del reggae giamaicano si alternano a quelle
più cupe della Sicilia di Rosa Balistreri o a strane fughe in Epiro.
«Mar
nostro vuol dire che il mare non è solo di D'Alema con la sua barca,
o di
Previti con la sua barca», spiega Sepe sul suo sito (www.danielesepe.com),
«ma soprattutto di quelli in gommone e di me in canoa... Forza Livorno!».
Federico
Vacalebre - Il Mattino
Molto
bello questo Nia maro che esce, come ormai consuetudine, per la collana
del Manifesto. Si tratta di un efficacissimo e per nulla stucchevole
nè oleografico viaggio musicale che spazia dalla tammuriata stradaiola
a Brassens, dalla musica egiziana ad un affascinante excursus nel jazz
rock
dei 70, calorosamente analogico, che ricorda molto da vicino i Napoli
Centrale di James Senese. Il suono risulta (cosa rara di questi tempi)
"vero",mosso da un'urgenza espressiva reale.
Insomma, il disco dà l'idea di avere avuto una gestazione "necessaria",
con un senso compiuto a legittimare la sua pubblicazione.
Oro colato, credetemi!
Per DiRadio: Luciano Marcolin
Daniele Sepe, un tuffo nel mare delle civiltà
Intervista col musicista napoletano
per l'uscita del nuovo cd, «Nia Maro», presentato ieri a Napoli
Pezzi di autonomia proletaria Tra tammurriate e tradizionali arabi, un
accidentato giro del Mediterraneo che mette insieme Brassens, Zivago,
Davis dando libero sfogo a tutte le invenzioni del musicista flegreo
Tribuno torrentizio dal vivo e polistrumentista etnico-popolare su cd,
Daniele Sepe ha appena pubblicato Nia Maro, per le edizioni del manifesto,
quattordicesimo album in quattordici anni di carriera, dai tempi degli
esordi coi Zezi. Che vorrà dire il titolo? Citazione dialettale?
Greco? Romeno? «E' esperanto, significa mare nostro. Ne conosco
qualche vocabolo perchè a quindici anni frequentavo il Centro di
autonomia proletaria, la versione anarchica di autonomia operaia, a Montesanto.
E lì tra un Max Stirner e un Peter Kropotkin c'erano manuali, appunto,
di esperanto che reputo un originale tentativo di creare una lingua realmente
democratica». Il coerente e variegato leit motiv apolide dei lavori
anni `90 si imprime anche nelle corde di Nia Maro, un'ora di brani dai
sapori forti e diversi. «Il concept dell'album è il concept
di tutti gli album - osserva - Vite Perdite del `94 iniziava con un pezzo
della Grecia del I secolo, si alternavano tonalità in stile Atahualpa
Yupanqi ad una ninna nanna svedese. Tutti parlarono al tempo di una cosa
geniale che chissà cosa cavolo volesse dire. In realtà non
c'è stata mai nessuna frattura nel mio modo di lavorare: ho sempre
faticato così, sorvolando le facili inquadrature di genere».
Quindi guai a dire «disco eclettico»; e il cielo ci scampi
dai paragoni con Zappa. Etichette che per Sepe sono cibi freddi. «Meglio
una bella critica - aggiunge, sornione - che una non-critica, o un accostamento
gratuito a divinità musicali, almeno ne esce qualcosa di costruttivo».
Autopsia del disco: dieci brani la cui architettura esce fuori dai girotondi
sonori di 18 musicisti, Sepe compreso, alle prese con un carnevale organizzato
da 26 strumenti diversi, dalla darbuka alla cupa-cupa basa, dalla chitarra
12 corde alla fisarmonica. Ad esordire è Tammmurriata, nove minuti
in cui gestire la tradizione e giocare a farle una casacca nuova. «E'
un rimescolare musica antica da parte di chi ha ascoltato in abbondanza
Miles Davis». E facendo fischiare le orecchie a Eugenio Bennato
aggiunge «l'ho fatto anche per dimostrare che la tradizione non
dev'essere ripresa necessariamente intatta».
Anche Lamma Bada è un must, però egiziano: «per tradurne
il testo ho avviato una sorta indagine, durante la quale ho scoperto che
si trattava di arabo antico. I quattro madrelingua interpellati me ne
davano ognuno un'interpretazione diversa...Lamma Bada è una canzone
emozionante anche se non si capiscono le parole. E' l'universalità
della musica: pure un giapponese sentendo 'O Paese d'o Sole si emoziona!».
E poi la voce del maghrebino Mrzuk Mejiri, straordinario cantante e musicista
dilettante, «scoperto» da Sepe qualche anno fa quando faceva
il bagnino a Bacoli.
In Les amourex des bancs publics il fiatista flegreo va a braccetto col
suo vecchio amore George Brassens, il cantautore anarchico che conta una
lunghissima catena di devoti. «De Andrè, Capossela, Cammariere
ne sono sicuramente debitori. Ciononostante in Italia continua ad essere
poco conosciuto, Nanni Svampa a parte». Poi, finestre che affacciano
su Sicilia, Grecia, Tunisia. Il Mediterraneo è il contenitore,
inteso di gran lunga più come bacino dalle disparate identità
che come spazio geografico definito. «Il disco musicalmente mette
insieme, senza retorica, intuizioni che vengono dal Mediterraneo, un'area
dove non è vero che tutto ci unisce, anzi. Si dice `una faccia
una razza', sì , ma a seconda del reddito». Le immagini del
booklet vincono un'intervista a parte. Catturano particolari della festa
delle lucerne di Somma Vesuviana in Campania, col suo vortice sconnesso
di fiammelle e soprattuto restituiscono in scorci sanguinolenti la via
crucis di Verbicaro in Calabria. L'impatto con il rito dei «battenti»
calabresi è allucinante: uomini vestiti di rosso che, dopo la mezzanotte,
con «u cardiddu» (pezzo di sughero in cui sono conficcati
aghi di vetro) si percuotono le gambe a sangue per seguire il percorso
della croce, secondo il costume delle confraternite medievali.
Contrariamente al solito, il musicista partenopeo non ha aggiunto alcuna
didascalia alle foto «innanzitutto perchè si commentano da
sole, e poi in quanto potrebbero essere state scattate a Falluja, a Nassirija
o in un pellegrinaggio sciita. Le manifestazioni violente della fede evidentemente
non riguardano solo una certa parte del mondo, come vorrebbero farci credere».
Il tour? «Perchè a qualcuno risulta che con i miei sette
musicisti programmo il tour? Quando ci chiamano, aizamm' n' cuoll', cioè
ci carichiamo gli strumenti e andiamo a suonare».
SANDRO
CHETTA - Da "Il Manifesto" del 19/12/04
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Auli
Kokko
voce, nacchere, tamburello
Massimo Ferrante
voce, chitarra 12 corde, chitarra catanese
Marzuk Mejiri
voce, nej, darbuka, tar, daf
Marco Zurzolo
sax alto
Franco Giacoia
chitarra acustica, chitarra elettrica
Antonio Onorato
chitarra elettrica
Gino Evangelisti
oud, chitarra portoghese
Francesco Migliaccio
fisarmonica
Piero De Asmundis
pianoforte, rhodes, tastiere, fisarmonica
Lello Petrarca
rhodes
Francesco D' Errico
tastiere
Sergio Di Leo
basso elettrico
Aldo Vigorito
contrabbasso
Rino Locantore
cupa-cupa bassa, bottiglia
Tommaso Di Marzio
cupa-cupa soprano, tamburello
Lello Di Fenza
batteria, grancassa, piatti
Salvatore Tranchini
batteria
Daniele Sepe
Sassofoni tenore e soprano, fricalettu calabrese, clarinetto turco, celesta,
programmazioni
Tutti hanno partecipato ai cori con l’ aggiunta di Luciano
Russo, esimio direttore di “Contrabbanda” |