Lavorare Stanca - Premio Tenco '98

 

1 Zompa chi può
2 Vinum bonum
3 Black market
4 Lavora et produci
5 Storia della musica popolare
6 Storia dell'Europa contemporanea
7 Kanonen song
8 Ederlezi
9 Lavorare stanca 1.
10 Lavorare con lentezza *
11 Lavorare con lentezza**
12 Tengo na voglia
13 Lavorare stanca 2.
14 Amuri e dinaru
15 Quanno nasciste tu
16 Serenata alla carpinese
17 Tarantella calabrese
18 Angeli e diavoli

Ed eccoci in classifica alla Feltrinelli-Ricordi Mediastore...grazie a nome del mutuo

e a distanza di 6 mesi resiste ancora!!!!!....

....dalla classifica Feltrinelli di maggio 2004

 

l' intervento de' 'E Zezi

‘O stabbilimento (la fabbrica) ‘a fatica ( il lavoro)


Da quando siamo nati, i nostri occhi ci sono rimasti in fronte, integri più o meno.
Per tutti gli altri organi del nostro corpo - anche quelli vitali - l’accanimento da parte di una precisa parte sociale, allo spappolamento, all’alterazione, allo scassamento dei suddetti, , perdura da molto e con apprezzabili risultati. Almeno per loro.
Con i primi organi che abbiano nominato abbiamo avuto modo di vedere tante e tante cose tra cui le cosiddette “fabbriche” o “ ‘e stabbilimenti”. Questo era il termine usato dai nostri concittadini di Pomigliano quando nel loro scarno parlato dicevano “fatica int’’o stabbilimento”.
Sempre con i primi che abbiamo nominato, ne abbiamo potuto vedere tante: fabbriche piccole, fabbriche grandi, vicine, lontane, di mattoni rossi, di cemento, di pietra con ciminiere alte, altissime, di tutte le misure e dimensioni. Dalle “baracche” della Flobert di Sant’Anastasia, all’Italsider di Bagnoli e di Taranto, all’Alfasud, alla Fiat, alla Montefibre, alla Monte-si-don, Petrol-kì, Petrol-là, ecc.ecc…e tante altre ancora.
Tutte viste da fuori. Da dentro, vissute e viste poche.
E non per nostra scelta. Lo sanno moltissimi, che le fabbriche sono quasi impenetrabili e quasi simili alle caserme; mancano solo i cartelli: non fotografare, proprietà privata, stare alla larga. Per cui un’ idea del che cosa sono e a che servono ce la siamo fatta parlandone con tanti, leggendo un po e principalmente parlandone con tanti dei nostri compagni operai e quelli che hanno fatto parte dei Zezi e che hanno avuto la sfortuna di averci avuto a che fare per una vita .
Come Zezi Gruppo Operaio, sono state poche le occasioni di incontro delle nostre esperienze espressivo- comunicative con le tute blu e con i lavoratori delle fabbriche, tanto che si possono contare con le dita di una sola mano e guardando molto indietro negli anni scorsi (tra il ’76 e l’85 la sala mensa dell’Italsider di Bagnoli, la Face Standard di Maddaloni, la Sit Siemens di S.M.C. Vetere, fuori i cancelli di Mirafiori a Torino e dell’Alfa a Pomigliano e qualche altra).
Esperienze che rimangono comunque memorabili e che ci hanno dato il senso pieno, forte, reale, quotidiano del nostro lavoro che è- ancora oggi- la riflessione sulle contraddizioni di un sistema di rapporti tra le componenti sociali che ha alti e bassi, avanzamenti e arretramenti reciproci nel confronto-scontro tra le due classi, padronato e proletariato.
E da qui le nostre opinioni, le nostre ricerche, le nostre lotte.
Le balle che ha raccontato e strombazza ancora il padronato sono sempre le stesse e pensiamo siano ben stigmatizzate nella nostra fortunata ballata degli anni ’90 “Capipallisti, posa e sorde”.
Tra le altre balle, una fra tante: negli anni ’80 avemmo modo di contattare il centro Sociale dell’Alfasud, che si doveva occupare del rapporto tempo libero, operai, cultura, , fabbrica e società. Fu una breve e insignificante parentesi, sfociata nel nulla in quanto questa struttura di fabbrica in linea di massima,preferiva occuparsi di gite fuori porta, sport e befana.
Ritorniamo a noi. La fabbrica, ‘e stabbilimenti non sono, come dovrebbero essere corpi integrati al sociale, produttori di beni per l’intera società civile, comunità locali, nazionali e oltre.
Per questo all’inizio abbiamo citato i nostri concittadini di Pomigliano, perché, non solo loro, hanno conosciuto un violento e traumatico sviluppo industriale grazie ad un capitalismo corrotto e provinciale, con poche chances per pretendere più rispetto e giustizia sociale nel trattare e progettare un futuro che tenesse conto di quello che è innegabile: il lavoro e i lavoratori sono la parte più importante della società, il centro, il motore che fa muovere e vivere il mondo.
Molti sanno che cos’è Pomigliano oggi con l’Alfa – Fiat.
Quello che ci ha sempre preoccupato in tanti anni è il fatto che, se gli ‘stabbilimenti’, le fabbriche sono i luoghi dove si crea, si produce tutta la merce che poi si scambia tra tutti i “pirucchi” viventi sul pianeta, com’è possibile che in questi luoghi siano in essere strumenti di repressione, distruzione, espropriazione culturale e alienazione del fattore primo e più importante, quello umano, anch’esso materia prima indispensabile alle produzioni.
Quasi l’inferno. E ci si meraviglia della conflittualità. Non è scorretto oggettivamente e scientificamente?
Non si dovrebbero cercare le migliori condizioni, oggettive e scientifiche del produrre, per avere tutti merci buone, umane e materiali, da scambiare?
C’è un po’ di cose che non vanno e che prima o poi vanno cambiate.


Angelo De Falco E Zézi Gruppo OperaioSettembre ‘03