l' intervento de' 'E
Zezi
‘O
stabbilimento (la fabbrica) ‘a fatica ( il lavoro)
Da quando siamo nati, i nostri occhi ci sono rimasti in fronte, integri
più o meno.
Per tutti gli altri organi del nostro corpo - anche quelli vitali -
l’accanimento da parte di una precisa parte sociale, allo spappolamento,
all’alterazione, allo scassamento dei suddetti, , perdura da molto
e con apprezzabili risultati. Almeno per loro.
Con i primi organi che abbiano nominato abbiamo avuto modo di vedere
tante e tante cose tra cui le cosiddette “fabbriche” o “
‘e stabbilimenti”. Questo era il termine usato dai nostri
concittadini di Pomigliano quando nel loro scarno parlato dicevano “fatica
int’’o stabbilimento”.
Sempre con i primi che abbiamo nominato, ne abbiamo potuto vedere tante:
fabbriche piccole, fabbriche grandi, vicine, lontane, di mattoni rossi,
di cemento, di pietra con ciminiere alte, altissime, di tutte le misure
e dimensioni. Dalle “baracche” della Flobert di Sant’Anastasia,
all’Italsider di Bagnoli e di Taranto, all’Alfasud, alla
Fiat, alla Montefibre, alla Monte-si-don, Petrol-kì, Petrol-là,
ecc.ecc…e tante altre ancora.
Tutte viste da fuori. Da dentro, vissute e viste poche.
E non per nostra scelta. Lo sanno moltissimi, che le fabbriche sono
quasi impenetrabili e quasi simili alle caserme; mancano solo i cartelli:
non fotografare, proprietà privata, stare alla larga. Per cui
un’ idea del che cosa sono e a che servono ce la siamo fatta parlandone
con tanti, leggendo un po e principalmente parlandone con tanti dei
nostri compagni operai e quelli che hanno fatto parte dei Zezi e che
hanno avuto la sfortuna di averci avuto a che fare per una vita .
Come Zezi Gruppo Operaio, sono state poche le occasioni di incontro
delle nostre esperienze espressivo- comunicative con le tute blu e con
i lavoratori delle fabbriche, tanto che si possono contare con le dita
di una sola mano e guardando molto indietro negli anni scorsi (tra il
’76 e l’85 la sala mensa dell’Italsider di Bagnoli,
la Face Standard di Maddaloni, la Sit Siemens di S.M.C. Vetere, fuori
i cancelli di Mirafiori a Torino e dell’Alfa a Pomigliano e qualche
altra).
Esperienze che rimangono comunque memorabili e che ci hanno dato il
senso pieno, forte, reale, quotidiano del nostro lavoro che è-
ancora oggi- la riflessione sulle contraddizioni di un sistema di rapporti
tra le componenti sociali che ha alti e bassi, avanzamenti e arretramenti
reciproci nel confronto-scontro tra le due classi, padronato e proletariato.
E da qui le nostre opinioni, le nostre ricerche, le nostre lotte.
Le balle che ha raccontato e strombazza ancora il padronato sono sempre
le stesse e pensiamo siano ben stigmatizzate nella nostra fortunata
ballata degli anni ’90 “Capipallisti, posa e sorde”.
Tra le altre balle, una fra tante: negli anni ’80 avemmo modo
di contattare il centro Sociale dell’Alfasud, che si doveva occupare
del rapporto tempo libero, operai, cultura, , fabbrica e società.
Fu una breve e insignificante parentesi, sfociata nel nulla in quanto
questa struttura di fabbrica in linea di massima,preferiva occuparsi
di gite fuori porta, sport e befana.
Ritorniamo a noi. La fabbrica, ‘e stabbilimenti non sono, come
dovrebbero essere corpi integrati al sociale, produttori di beni per
l’intera società civile, comunità locali, nazionali
e oltre.
Per questo all’inizio abbiamo citato i nostri concittadini di
Pomigliano, perché, non solo loro, hanno conosciuto un violento
e traumatico sviluppo industriale grazie ad un capitalismo corrotto
e provinciale, con poche chances per pretendere più rispetto
e giustizia sociale nel trattare e progettare un futuro che tenesse
conto di quello che è innegabile: il lavoro e i lavoratori sono
la parte più importante della società, il centro, il motore
che fa muovere e vivere il mondo.
Molti sanno che cos’è Pomigliano oggi con l’Alfa
– Fiat.
Quello che ci ha sempre preoccupato in tanti anni è il fatto
che, se gli ‘stabbilimenti’, le fabbriche sono i luoghi
dove si crea, si produce tutta la merce che poi si scambia tra tutti
i “pirucchi” viventi sul pianeta, com’è possibile
che in questi luoghi siano in essere strumenti di repressione, distruzione,
espropriazione culturale e alienazione del fattore primo e più
importante, quello umano, anch’esso materia prima indispensabile
alle produzioni.
Quasi l’inferno. E ci si meraviglia della conflittualità.
Non è scorretto oggettivamente e scientificamente?
Non si dovrebbero cercare le migliori condizioni, oggettive e scientifiche
del produrre, per avere tutti merci buone, umane e materiali, da scambiare?
C’è un po’ di cose che non vanno e che prima o poi
vanno cambiate.
Angelo De Falco E Zézi Gruppo OperaioSettembre ‘03