1.Sintonia nr.1 "il pendolo"
2.Peaches in regalia
3.Come in coma
4.Sintonia nr.2
5.Radisol
6.Il mondo visto dalla panchina
7.Sintonia nr.3 "il gabbiano"
8.let your past live
9.Sintonia nr.4 "L'incendio di Milano"
10.Guzzi Falcone 5'21"
11.Sintonia nr.5 "Epica"
12.Zut/a/traverso
13.Evergreen
14.Sintonia nr.6 "Cane nero"
15.Napoli centrale
16.Bianco & nero
17.Hasta siempre

Ribellarsi è giusto. In questi ultimi decenni è un assunto messo in discussione dallo stato dei fatti. Censurato, esiliato in un altro pianeta. Nella mente della stragrande parte della gente l’ arroganza del potere economico e politico può essere messa in discussione per lo più con pacifiche dimostrazioni di massa o allegri girotondi, o alla meno peggio mettendo un segnetto su questo o quel candidato al teatrino della politica. E anche a questo il potere spesso reagisce in maniera violenta. Negli anni settanta non era precisamente così. Tanto per cominciare la mattina andavi all’ edicola sotto casa e potevi scegliere tra ben tre quotidiani che non si rifacevano all’ area della poitica parlamentare: Il Quotidiano dei Lavoratori, il Manifesto e Lotta Continua. Per non parlare della miriade di riviste che proliferavano: Rosso, Controinformazione, Anarchismo, Vogliamo Tutto, Metropoli, Senza Tregua. E poi il fumetto: da Linus a Cannibale, da il Male a Ken Parker. Altri tempi, basti ricordare le vignette sul papa che il Male ci regalava, oggi sicuramente passabili della più truculenta censura. Di sicuro c’ era di che leggere, altro che Men’s health o il Denaro. Tutto questo rifletteva una realtà in cui la politica, o meglio l’etica, aveva un importanza che permeava anche i rapporti personali. Ne traevano beneficio il potere d’ acquisto dei salari o la condizione della donna. E i salari tenevano in un epoca di congiuntura come e peggio di quella attuale (state certi che nessun padrone né azienda vi verrà mai a dire che essendo aumentato il fatturato conseguentemente vi aumenterà lo stipendio, “loro” sono sempre alla fame o vicini al tracollo finanziario....). I manicomi si chiudevano e le caserme si svuotavano. Finiva la guerra in Vietnam o l’occupazione coloniale in Angola, spariva la dittatura in Portogallo e in Grecia. Si ascoltavano gli Area e Alturas degli Inti Illimani finiva in classfica. Il mondo alla rovescia, se allora dicevi che una cosa era “commerciale” significva che era da evitare o anche da bruciare (lo sanno bene le malcapitate bands yankee che tourneggiavano da queste parti), oggi “commerciale” vuol dire che stai per entrare nel club dei milionari e che sei uno “sfaccimmo”.Tutto questo qualcuno, successivamente, lo definì “gli anni di piombo”. Ma per chi? Forse per il potere più retrivo e bigotto, la destra dei Saccucci o dei Tanassi, degli Andreotti o dei Pirelli, o di Romiti,  che invocavano il Cile e i colonnelli contro l’aria di rivolta che si respirava nelle piazze e nelle fabbriche. La reazione di questa destra fatta di attentati, stragi, omicidi, suicidi sospetti, massacri, violenze inaudite sulle donne (come quella del Circeo…) alimentavano in molti il timore che un colpo di stato in Italia ci potesse essere davvero.Forse è per questo che intere sezioni del PCI si trovarono dopo qualche anno a essere arrestate per banda armata. Non era raro trovare militanti delle BR iscritte al sindacato o al partito. Non sono cose di cui oggi gli excomunisti amano parlare. Molto meglio seppellire tutto sotto l’ epiteto “di piombo” e fare finta che c’ erano solo quattro esaltati che pensavano di stare in Irlanda o in Palestina. Ma non era così. L’ occupazione dell’ università di Bologna, la manifestazione del 12 marzo di Roma, i blindati e i carrarmati per le strade portati dall’ allora ministro degli interni Cossiga furono probabilmente il culmine di tutto il movimento di quegli anni. Poi lo scontro si fece più duro, selettivo e feroce. Fa impressione però vedere su wikipedia, l’ enciclopedia in rete, nel macabro conteggio delle vittime di quegli anni, che il solo massacro di Ustica, strage coperta da un buon numero di generali e ammiragli dello stato italiano, supera e pareggia i morti per mano delle organizzazioni armate presenti allora in Italia. Non cambia niente, ma non accetto lezioni da chi ancora oggi siede sulle poltrone del Parlamento e a distanza di decenni non ha pagato per i crimini di stato commessi o coperti allora. E non è un caso che lo stato, in particolare la democrazia cristiana e il partito comunista, non fece per Moro quello che poi fece per un Cirillo. Lo scontro diventò disumano, si passò ad un confronto esclusivamente militare suicida e fine a se stesso. Non poca responsabilità in questo l’ aveva l’ importanza che i media, la nascente televisione privata, la necessità dell’ apparire più che dell’ essere cominciavano a conseguire. Il movimento si polverizzò e tutto finì in un rifiuto della politica e dell’ etica, che sfociò negli anni ‘80 dei paninari e dei Craxi e soprattutto dell’ eroina. Piano piano siamo arrivati a oggi: gli “anni dello stronzio”. Gli anni settanta io li ho visti descritti solo in brutti film, pieni di grigiore e paura, per lo più fatti da signori che all’ epoca militavano nella FGCI. E che ricordo  possono mai avere loro di allora? Io ricordo ben altre cose. L’ autoriduzione, l’ esproprio, la chiusura delle centrali atomiche, le botte ai concerti per entrare gratis, ma anche i film di Herzog o di Olmi, i concerti strapieni di Archie Shepp o di Luigi Nono, il teatro di strada del Living o le azioni di artisti che si rifacevano ad una unica idea e necessità  rivoluzionaria. Oggi mi manca questo, la possibilità di sognare la rivoluzione. Questo sogno lo vedo  svanito soprattutto in chi oggi ha vent’anni e dovrebbe sentire ancora di più la necessità di rivoltare il mondo lasciatogli dai genitori. Non abbiamo realizzato questo cd per la nostalgia dei nostri vent’ anni, ma solo perchè sentiamo la necessità di ridare forma a termini censurati e in via di estinzione (come dopo un Congresso di Vienna, Bush e Woytila come novelli Metternich) rivolta, ribellione, rivoluzione.
Oggi invece riprendono importanza termini che  allora sembravano estinti: la religione, l’appartenenza di casta, la razza, il sud e il nord. Il mondo sta peggio oggi di allora, basta mettere a confronto la felicità un po’ cialtrona di allora e la ricca depressione di oggi.
Ribellarsi è giusto. Sempre.


Voci

Auli Kokko
Brunella Selo
Mario Insenga
Lino Vairetti
Luca Nottola
Roberto Lagoa
Daniele Sepe

Voci recitanti

Marcella Granito
Rosalba Di Girolamo

Cori

Luciano Russo
Franco Giacoia
Dario Iacobelli
Piero De Asmundis
Fredy Malfi
Dario Franco
Jens Hansen
Gianluca Capurro

Quena

Roberto Argentino Lagoa

Flauto

Daniele Sepe

Corno

Luca Martingano

Tromba

Gianfranco Campagnoli

Trombone

Alessandro Todesco

Sax alto

Marco Zurzolo

Sax tenore e soprano

Daniele Sepe

Sax Baritono

Gabriella Grossi

Pianoforte

Piero De Asmundis
Armanda Desidery
Roman Gomez

Rhodes, clavinet e tastiere

Piero De Asmundis, Daniele Sepe

Chitarra elettrica

Franco Giacoia
Massimo Moccia
Paolo Del Vecchio
Pasquale Anatrella

Basso elettrico

Massimo Cecchetti
Roberto D'Aquino
Lello Petrarca
Vittorio Pepe
Dario Franco
Daniele Sepe

Contrabbasso

Aldo Vigorito

Percussioni latine

Peppe Sannino
Roberto Lagoa

Percussioni orchestrali

Lello Di Fenza

Batteria

Claudio Marino
Fredy Malfi
Mario Insenga
Lello Di Fenza
Gabriele Fiorentino
Agostino Mennella

Il Coro della "Contrabbanda" diretto da Luciano Russo

 

...Ma la musica, com'è la musica? Coerentemente con le premesse ideologoche - come si sarebbe detto allora - Daniele Sepe riprende quanto di meraviglioso i seventies avevano creato: blusettoni elettrici, jazz-rock, progressive, reggae, avanguardia, funk. Però, e qui sta il bello, non suona con spirito filologico, bensì evolutivo: proseguendo cioè il discorso là dove si era interrotto. la sua musica si colloca quindi in una specie di universo parallelo, mostrandoci cosa sarebbe potuto accadere se non ci fossero colati addosso gli anni '80. Il fatto che questo accada oggi, grazie a Daniele Sepe, è uno dei pochi motivi per i quali possiamo dirci contenti di vivere negli anni zero.

Dario De Marco - Il Giudizio Universale


Più di un normale disco. Un concentrato di umori e provocazioni culturali belle, sincere, fuori dal coro. Un musical su di uno entrato in coma trent’anni fa, risvegliatosi suo malgrado nell’orrore dei nostri giorni.
Giorni di stronzio, come dice Sepe. Molto più grigi e violenti, a ben vedere, dei settanta.

Smemoranda

A qualcuno piacerà da matti ad altri farà accapponare la pelle.

Luca Valtorta - Il Venerdì di Repubblica

...I pezzi arrivano all’ascoltatore in sequenza cronologica interrotti da una radio che rimanda la cronaca di quel periodo. Una radio che insieme ai brani dei Led Zeppelin e di Santana, di Gianfranco Manfredi e di Pino Mauro, ai Napoli Centrale,ma anche le voci dei tg di allora o di Ignazio Buttitta mentre le voci di Auli Kokko, Mario Insenga, Lino Vairetti, Brunella Selo e tanti altri ci accompagnano dalle prime autoriduzioni fino alla renault4 che per Sepe chiude tragicamente una stagione altrimenti densa di conquiste.
Le immagini riprodotte nel libretto di copertina – che oggi appaiono come una provocazione continua, ma all’epoca erano la normalità – sono tratte dalle riviste Rosso, Il Male, Zut&A/traverso, Vogliamo tutto, Controinformazione, Potere Operaio, Resumen. I testi irriverenti, schietti, “pesantemente” politici ricordano chi erano i ribelli, i comunisti, gli anarchici degli anni ’70.

Francesca Pilla - Il Manifesto

“Suonarne 1 x educarne 100” è un tuffo nel passato, mai troppo passato, dell’Italia degli anni Settanta. Alle armi che hanno insaguinato le strade della penisola si sostituiscono la musica e le parole. La “R.A.F.” del jazz è formata da una quarantina di artisti che hanno collaborato al progetto circondando Daniele Sepe come i giovani apprendisti facevano con Michelangelo. Dalla Cappella Sistina di Sepe & c. viene fuori un giudizio universale sul tortuoso cammino politico, culturale e sociale di un’Italia alle prese con la tv in bianco e nero, la politica extraparlamentare, gli attentati, le stragi di Stato. E suicidi sospetti, violenze inaudite sulle donne, le Br, il sindacato e le occupazioni.

Leonardo Lodato - La Sicilia

Potremmo anche citare De André quando, in un inedito riportato su “Volammo davvero” dice: “La ribellione è individuale, dove la componente maggiore è forse l’esibizionismo”. Concordiamo tuttavia sul fatto che la rimozione non sia mai un buon processo, soprattutto se si ha voglia di capire. Ma soprattutto concordiamo nel ritenere questa musica la giusta colonna sonora del periodo. Siamo di fronte a un disco fatto come dio comanda. Daniele ha costruito una sorta di sceneggiata, cantata, suonata e recitata, quasi in presa diretta e composta in una forma di assemblea collettiva. Pur firmando il disco come Daniele Sepe und Rote Jazz Fraktion l’album è indiscutibilmente rock e soprattutto rock di stagione. Di Jazz non c’è quasi traccia. Se si parla del '77 e lo si rappresenta con inserti di radiogiornali e di musica d’epoca ("una sorta di radio libera su cd"), la musica di fondo non può che essere del buon rock. Ma non il progressive. Proprio quel rock sudato che sa di blues e che dalle buone lezioni dei primi Rolling Stones è salito per li rami, fino a innervare ottime band anche nel nostro Paese.
La sceneggiata però è il riferimento principale: l'album inizia col suono di una sveglia (che sia simbolico anche questo? Che Daniele voglia dirci che è ora di aprire gli occhi?) e con un insieme di voci arruffate che emergono dal sonno e ci catapulta subito nel cuore della vicenda è la storia di un personaggio che, finito in coma dopo una manifestazione perché picchiato dai celerini, si risveglia nel mondo di oggi per aver ascoltato Staying alive dei Bee Gees. Alla domanda come trova il mondo di ora, lui che era entrato in coma negli anni di piombo risponde: "una merda. Una vera merda!" Dice tutto. Come non essere del tutto d'accordo con lui?

Giorgio Maimone - il Sole24ore

Un video fatto tàtà da salvatore....

 

http://www.youtube.com/watch?v=qMNNF4D14i4